Il terroir del Nebbiolo
Il territorio di diffusione maggiore del vitigno Nebbiolo è quello compreso tra i confini naturali segnati a sud dalle Alpi Marittime Liguri, a ovest dal fiume Tanaro, a est dal fiume Bormida di Spigno e a nord dal Tanaro e dalle colline del Monferrato astigiano. È questo il comprensorio delle Langhe, le “lingue di terre o creste” che con questa antica etimologia vogliono ricordare la loro particolare conformazione morfologica. Si tratta infatti di una lunga teoria di colline strette, in alcuni casi anche abbastanza ripide che dalla Liguria degradano verso nord-est seguando la valle del Tanaro. Quelle più antiche geologicamente si trovano più a sud: la loro cronologia è abbastanza recente sulla scala geocronologica e la si può far risalire a circa 30 milioni di anni fa. Nell’Eocene medio-superiore l’area in questione, cioè l’area dell’attuale Basso Piemonte, non esisteva perché al posto delle dolci colline o delle aree pianeggianti vi era un antico golfo marino, dove le successive sedimentazioni di rocce prevalentemente terrigne (conglomerati, arenarie, argille) hanno dato origine alle terre attuali. E’ durante il Miocene, dai 15 ai 7 milioni di anni fa, che si sono formati i primi terreni delle Langhe, nell’attuale area del Barolo. Solo nel successivo Pliocene, sotto la costante spinta della zolla africana, inizia la lenta emersione di queste terre, che all’inizio della loro storia si presentavano come vaste aree paludose. Nell’Era Quaternaria, cioè circa 1,5 milioni di anni fa, ci fu un vero e proprio innalzamento del suolo e i terreni sedimentari furono profondamente incisi verso nord-est, andando così a creare quella che è l’attuale configurazione delle colline delle Langhe. I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco si sono venuti a formare in Età Serravalliana (o Elveziana) e Tortoniana e sono prevalentemente composti da marne argillo-calcaree sedimentarie, intercalate da strati di marne più o meno importanti di colore grigio-azzurro (dette Marne di sant’Agata, costituite localmente con il termine di tov e costituite dal 30% di sabbia, 55% di argilla e 15% di calcare) e da strati di sabbia o arenarie di colore grigio-bruno e giallastro (le cosiddette Arenarie di Diano). Le Marne di sant’Agata che troviamo nei comuni di La Morra e Barolo danno origine a vini eleganti, profumati, dalla maturazione un po’ più veloce, mentre le Arenarie di Diano (presenti nelle colline di Castiglione Falletto e in parte in quelle di Monforte) e la Formazione di Lequio (parte di Monforte e di Serralunga d’Alba) danno origine a vini più alcolici, più robusti e più longevi. Nella zona del Barbaresco predominano le Marne di sant’Agata di origine tortoniana. I terreni delle Langhe, per l’alta percentuale di calcare presente, sono di tipo basico, con un pH che sfiora l’8%. Differenti i terreni del Roero che, essendo molto più sabbiosi e meno calcarei, risultano più acidi. Il clima L’area delle Langhe è caratterizzata da un clima di tipo continentale temperato, con il picco delle precipitazioni piovose generalmente fissato durante il mese di maggio, che registra precipitazioni medie vicine ai 100 millimetri, seguito da aprile (80 mm.) e settembre (70 mm.). Tale apporto idrico può influenzare la produzione e non di poco. Infatti un maggiore piovosità durante la fase di fioritura delle piante, può anche determinare consistenti cali di produzione, così come durante la fase di raccolta, dove un’eccessiva pioggia può comportare la formazione di muffe e ristagni d’acqua che possono incidere sulla qualità delle uve. Il vitigno Nebbiolo però abbiamo detto essere una pianta estremamente resistente e quindi i pochi giorni di pioggia che di norma si registrano tra fine settembre e inizio ottobre non vanno a intaccare la qualità delle uve che completano in quei giorni il loro processo di maturazione. Se poi ad una primavera particolarmente piovosa segue un’estate calda e secca questo comporta un buon accumulo di sostanze negli acini. Le Langhe poi sono anche caratterizzate da una buona luminosità, che permette il regolare svolgimento della fotosintesi clorofilliana. Altro fenomeno pericoloso per la sopravvivenza dei grappoli è la grandine, che può incidere sia sulla qualità che sulla quantità, con riduzioni significative del prodotto di circa 20-30%.